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Addio al calcio di Ferrara: tantissimi ex calciatori parteciperanno all'evento



Un mondo di amici. Ecco quello che è stato capace di fare Ciro Ferrara. Mobilitare un mondo di amici per il suo addio al calcio giovedì sera al “San Paolo”, lo stadio del debutto ventuno anni fa, quando giocò la prima partita in serie A col Napoli contro la Juventus, le due squadre della sua lunga e splendida carriera, dieci anni in maglia azzurra, undici con quella bianconera. Cinquecento partite e 27 gol in serie A, otto scudetti, due col Napoli e sei con la Juve, una Coppa dei campioni, una Coppa intercontinentale, una Coppa Uefa, due Coppe Italia, cinque Supercoppe italiane, una Supecoppa europea. Un difensore-record e un grande atleta leale, la fantasia napoletana e la disciplina juventina messe insieme. Alla sua festa, la partita del congedo dal prato verde, interverranno i più famosi campioni italiani ed europei. Non solo i vecchi compagni del grande Napoli con Careca ed Alemao, Giordano, Bagni, Garella, Francini, Bruscolotti, De Napoli, Carnevale e tutti gli azzurri degli scudetti, ma anche i campioni che hanno giocato e giocano con Ciro nella Juve, da Zidane a Ibrahimovic. Due squadre in campo al “San Paolo”, quella azzurra e quella bianconera, in una notte di tante stelle e di una possibile sorpresa, la presenza di Diego Armando Maradona. Una partecipazione che è la testimonianza della simpatia con cui Ciro Ferrara ha conquistato tutti nel mondo del calcio, simpatia e correttezza, dedizione, impegno. Ciro è di quella razza di napoletani, il cui capostipite nel calcio è stato Antonio Juliano, che riscatta tutti noi dallo stereotipo del mandolino. Serio e allegro, lavoratore tenace e persona ironica, leale e fedele, professionista speciale sino al sacrificio e compagno di tutti sino alla risata. La scorza di Ciro è bianconera, ma sotto di essa premono e si rivelano la sua anima azzurra e la nobiltà di una città maestra di vita e di storia. Non è la nostalgia del mare di Posillipo, invisibile e lontano sull’ansa del grande fiume di Torino, che nutre e fissa la napoletanità genuina di Ciro Ferrara. E’ il suo essere napoletano senza compromessi e finzioni che nessuna città, club e marchio possono cambiare e omologare. Il Napoli lo rapì per due milioni a una squadretta dei Camaldoli, sottraendolo alla Grumose, e così crebbe sotto Riccardino De Lella, sbocciò sotto la mascella di Beppe Bruscolotti, fu lanciato da Rino Marchesi e mandato in orbita da Bianchi, coccolato da Maradona e da Bagni. Una bella famiglia napoletana, i Ferrara, il papà tecnico ortopedico, gran lavoratore, la mamma una chioccia severa e affettuosa, quattro figli, tre maschi e una femmina, valori precisi l’educazione, la lealtà, la correttezza, un grande spirito di appartenenza alla famiglia e poi l’impegno nello studio, obiettivo la laurea, quella che il fratello Fabrizio ha ottenuto con 110 e lode in ingegneria elettronica e la laurea in economia e commercio dell’altro fratello, Vincenzo. Studente bravo in italiano, Ciro, all’Istituto Mario Pagano, puntuale, attento, ma irresistibilmente attratto dal pallone e dalle giovanili del Napoli. Era il 1982. Due anni dopo vinceva il suo primo scudetto (che così sarebbero nove) con la squadra Allievi del Napoli allenata da De Lella. Dagli Allievi alla Primavera allenata da Sormani, alla nazionale juniores con Baggio e Ciccio Baiano, 17 presenze, un gol e un rigore. Un cammino spedito che lo portò in prima squadra nel Napoli di Marchesi e al debutto in serie A. Bianchi gli assegnò la maglia di titolare nell’anno del primo scudetto azzurro, campione d’Italia a vent’anni. “Ferrara è l’uomo nuovo del calcio italiano” sentenziò l’allenatore bresciano. Giudizio azzeccato perché il campionato 1986-87 rivelò a tutti il ragazzo di via Manzoni, scudetto e Coppa Italia col Napoli, convocazione nell’Under 21 di Vicini, convocazione nella nazionale maggiore (49 presenze), debutto a Zurigo, 10 giugno 1987, contro l’Argentina, un’amichevole di lusso in cui marcò Maradona, il suo grande amico nel Napoli. Una carriera lunga 21 anni cominciando a giocare contro Altobelli e Rummenigge, Platini, Falcao e Pruzzo, Giordano e Virdis, concludendola contro Totti e Vieri, Kakà e Adriano, Shevchenko e Gilardino. Atleta mirabile e longevo, giocatore di classe e temperamento, eterno ragazzo dal sorriso simpatico e, ora che ha messo gli occhialini, farà il dirigente nella casa accogliente di mamma Juve. Difensore come ce ne sono stati pochi, risorto a 31 anni da un infortunio, frattura micidiale di tibia e perone sul terreno viscido di Lecce, che avrebbe schiantato chiunque. Fuori dal campo, un vero showman, un attore spontaneo da quel primo spot pubblicitario, “ma chi è ‘sto Ciroferrara”, alle foto juventine col Borsalino in testa che lo faceva più elegante di tutti, al film con Salemme, disinvolto, naturale, interprete spontaneo su tutti i set della vita. Un campione autentico nel cuore, un uomo generoso il guerriero di via Manzoni che conclude la sua carriera con il saluto festoso a Fuorigrotta, attorno tutto il mondo di amici che lo hanno ammirato e gli vogliono bene, dagli spalti al campo di gioco. Accanto, la sua bella famiglia. La moglie Paola, di cui si innamorò un’estate sulla spiaggia di Gaeta, e i tre splendidi figli Benedetta, Paolo e Giovanni. Alè, Ciro. E’ stata una magnifica avventura. Al calcio hai donato classe e un sorriso irresistibile.

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